Regione del Veneto

Click on “CC”, at the bottom-right of the video, to enable/disable the subtitles.
For each recording, these features are available:
- Comprehensive transcription of the recording;
- (If set) the list of all the speakers in time order and the arguments of the agenda.
The media library is completely browsable.
- Simple search:
- Speaker: it is possible to select one or more speakers attending the recorded event (if speakers are indexed).
- Agenda argument: it is possible to select only those recordings that have some specific argument treated.
- Date or time span: This option allows selecting the recordings of events held in a specific date or during a specified time interval.
- Advanced search: it is possible to search single words, names, phrases, arguments treated during the recorded events and the result of the search will be a list of all those recordings in which the searched term has been treated. Then it is possible to listen to the recording in the precise instant where the searched words are pronounced.
As for now, the enabled social networks are:
To activate the service all you need is to sign up up using your email where the alerts will be delivered and choose the words/argument of interest.
Once the alert criteria is set, you will receive an email containing::
- The internet address of the recording
- The recording title with the chosen search criteria
- The list of the links to the instant where the searched words are pronounced. The words that are found are highlighted in italic.

CONTACT US



Speaker : Roberto CIAMBETTI, Presidente del Consiglio Regionale del Veneto
Possiamo iniziare.
Veramente grazie della presenza nutrita qui oggi.
Abbiamo imparato fin da scuola, fin da quelle che un tempo venivano chiamate elementari, che esistono nomi concreti e nomi astratti. Questi ultimi, ci spiega la grammatica, si riferiscono a tutto ciò che esiste, ma che non si può vedere, toccare, annusare o percepire con i sensi. Questa definizione zoppica, perché il dolore, tecnicamente, è astratto, quando invece lo sentiamo benissimo, se non fin troppo. Peggio ancora se estendiamo la riflessione alle malattie invisibili, non solo alla vulvodinia o alla neuropatia del pudendo di cui oggi parliamo, ma anche a endometriosi, o fibromialgia, ad esempio, invisibili e astratte, ma terribilmente dolorose e invalidanti come sanno milioni di donne e come sanno, relativamente alla neuropatia del pudendo, tantissimi appassionati di ciclismo.
Il riconoscimento di queste malattie è una conquista non solo di cultura medica, ma di civiltà e giustizia, che inizia a farsi strada e a cercare il giusto inserimento nei livelli essenziali di assistenza del sistema sanitario nazionale come malattie croniche e invalidanti. Grazie, da ultimo, a una proposta di legge depositata in Parlamento lo scorso 3 maggio, con primi firmatari Giuditta Pini alla Camera e al Senato Giuseppe Pisani, redatta sulla scorta delle indicazioni avanzate dal Comitato Vulvodinia e Neuropatia del pudendo, sulla scorta di testimonianze e contributi di medici, pazienti, familiari, di chi ha sofferto e soffre di queste patologie.
Le proposte di legge rappresentano un passaggio fondamentale, ma fondamentale è anche sostenere l’iter legislativo e diffondere un’adeguata informazione non solo tra medici, psicologi fisioterapisti, infermieri, ma anche tra cittadini e cittadine, i mass media e il mondo dell’informazione.
È per questo che saluto l’incontro odierno con particolare soddisfazione e con un’autentica adesione alla proposta che mi fu fatta dalla collega Elena Ostanel, alla quale va anche il merito di aver dato vita a un evento che vede l’adesione trasversale di tutte le forze politiche del Consiglio regionale, a dimostrazione dell’importanza del tema trattato.
Non vi sottraggo altro tempo, se non per augurarvi buon lavoro, ringraziandovi per l’iniziativa che avete proposto e che tutti noi ci auguriamo possa contribuire a colmare un vuoto non solo legislativo, restituendo speranza e dando maggiore tranquillità a chi deve fare i conti, spesso amari, con queste patologie tanto invisibili quanto veramente dolorose e concrete.
Ringrazio ancora la collega Elena Ostanel, che adesso condurrà la giornata con la sua ‒ mi permetto di dire ‒ sensibilità e la sua competenza sul tema.
Elena, prego.
Speaker : Elena OSTANEL, Consigliera Gruppo Consiliare Il Veneto che Vogliamo
Grazie, Presidente. Grazie anche per l’introduzione, per il saluto. È un saluto non solo istituzionale, ma anche con del contenuto. Quindi, grazie.
Prima di tutto do anch’io il benvenuto a chi è qui oggi, ai partecipanti. Voglio anche ringraziare il Comitato che ha spinto e che sta spingendo il lavoro in tutte le Regioni d’Italia per riuscire ad arrivare finalmente ad una decisione nazionale che permetta alle Regioni di riuscire a lavorare con più agio su un tema, come quello che discutiamo oggi, non solo complicato da un punto di vista tecnico-medico e per il fatto che deve essere preso da più discipline, ma anche proprio perché è complicato, è stato complicato fino a questo momento, e speriamo non debba più accadere, anche solo parlarne, metterlo in agenda, in agenda politica e in agenda tecnica. Quindi, ringrazio prima di tutto il Comitato, che sta facendo questo lavoro e che ha spinto me a organizzare questo convegno, questo momento di discussione.
Non perdo altro tempo, perché poi interverrò più nel contenuto, ma voglio passare la parola all’assessore Manuela Lanzarin, Assessore alla sanità della Regione del Veneto, e poi alla Presidente della Quinta Commissione, che ringrazio di essere qui, Sonia Brescacin. Credo sia molto importante la loro presenza oggi, e le ringrazio. È un momento in cui, se vogliamo prendere in mano un tema come questo, non c’è bisogno che il tema sia un tema di parte, ma sia un tema preso in carico dal punto di vista istituzionale.
Grazie.
Speaker : Manuela LANZARIN, Assessore alla sanità e programmazione socio-sanitaria
Buongiorno.
Ringrazio il Comitato. Ringrazio, in primis, la consigliera Ostanel, che ha voluto questo momento di confronto, di dibattito, ma anche di avvio di un percorso.
Quando parliamo di sanità, di patologie, di malattia, non ci sono sicuramente schieramenti di parte, ma credo che la casacca sia unica, come sancito anche dalla nostra Costituzione, all’articolo 32 (Diritto universalistico alla tutela della salute).
Credo che il nostro impegno ‒ noi che rappresentiamo le Istituzioni ‒ sia soprattutto quello di cercare di porre in essere tutte le situazioni, tutti i presìdi, tutte le modalità previste e non previste per, effettivamente, andare incontro ai bisogni della popolazione, ai bisogni di tutta la popolazione, anche di quella popolazione ‒ come è stato detto ‒ silente, che a volte, proprio perché non viene oggi giustamente e correttamente catalogata come una patologia riconosciuta, una patologia di un certo tipo, non rientra, sappiamo, nei livelli essenziali di assistenza, i cosiddetti LEA, eccetera, è ancora, quindi, una patologia poco forse conosciuta. Abbiamo imparato ultimamente un po’ più a conoscerla, ed è bene così, per effetti mediatici che si sono susseguiti. Credo che sia una cosa positiva, al di là poi di dare significati diversi a tutto questo, proprio perché mette in evidenza come ci sono alcune patologie, ed è stato ben detto prima, che sono ancora delle patologie silenti, che comunque coinvolgono molte persone e che producono una serie di effetti a cascata che, se non presi in tempo, se non diagnosticati in tempo, se non seguiti e assistiti in tempo, effettivamente, possono creare quelle situazioni, come diceva anche il presidente del Consiglio Ciambetti, che ringrazio, non solo di invalidità, ma anche di qualità della vita che mette a repentaglio quella che è la quotidianità, la normalità lavorativa, sociale e relazionale, perché sappiamo che a volte può succedere anche questo. Bene che sia iniziato un percorso nazionale con la proposta di legge che è stata citata, anche con le varie proposte, le varie attività e iniziative che sono sorte, come quella veneta, a livello regionale.
Io mi auguro che, assieme ad altre, voi sapete, sono tante le patologie che oggi non rientrano nei livelli essenziali di assistenza, molte, purtroppo, molte sono quelle che diventano poi ad effetto croniche e quindi accompagnano la vita di molte persone, molte delle patologie legate alle malattie rare identicamente non vengono riconosciute. Questo non solo non mette a disposizione, insomma, perché poi l’individuazione all’interno dei livelli essenziali di assistenza mette a disposizione dei finanziamenti dedicati o la possibilità anche di utilizzare i finanziamenti oggi dedicati al sistema sanitario per questa finalità, altrimenti, voi sapete, assieme anche agli addetti del lavoro che diventerebbero i cosiddetti extra LEA, quindi non più finanziabili con i fondi del sistema sanitario, ma che riesca a proprio ad andare incontro, e questa credo che sia la cosa principale, a quelle che sono oggi le esigenze di un numero sempre più crescente di persone affette da questa patologia. Mi sembra che i numeri, anche leggendo i contenuti che sono stati messi a disposizione oggi parlano di due donne su dieci che purtroppo sono affette da questa patologia, molte delle quali non sanno, purtroppo, fino a un tempo poi forse che è andato troppo oltre di avere questa patologia e di poter iniziare anche un percorso di un certo tipo. Sappiamo che è un percorso, però, anche costoso, doloroso, che deve mettere in circolo tutta una serie di iniziative, tutta una serie di step. Ben venga sicuramente, quindi, come dicevo, la parte nazionale, perché è una parte di cornice che a noi sistemi regionali serve, in attuazione, e quindi in adempimento di quelli che sono i livelli nazionali. Ben vengano però anche quelle che sono le attività e le iniziative che anche le Regioni possono mettere in campo.
Io credo che su questo la Regione Veneto, che ha maturato nel corso degli anni un’esperienza molto forte, legata proprio alla cronicità di alcune patologie, alla presa in carico per quanto riguarda la filiera completa, possa sicuramente iniziare un percorso anche quando parliamo di vulvodinia, proprio legato a quelli che sono i contenuti che abbiamo visto all’interno della mozione, che sono stati approvati, e che sono quelli che partono dalla rete regionale.
La rete regionale sicuramente deve individuare all’interno del nostro sistema sanitario… Oggi, chiaramente, come in tutte le altre parti d’Italia è costituito un modello hub and spoke dei centri di riferimento regionali (come ci sono per moltissime altre patologie), poi possono essere i centri di riferimento regionali, per poi passare ai centri di riferimento di primo o di secondo livello, o a quelli più prettamente distrettuali, a quelli di prossimità, se andiamo ad un livello ancora inferiore e più vicino alla popolazione.
Altrettanto importante io credo che sia poi pensare a un piano terapeutico dedicato, il PDTA. Voi sapete che oggi questo è lo strumento che noi conosciamo e che adottiamo per moltissime malattie, che poi diventa lo strumento che i professionisti del settore sanitario possono e devono adottare e quindi seguire, avendo come indicazione tutti i contenuti di quelli che sono i PDTA.
Non da ultimo, penso che un altro tassello su cui noi dobbiamo sicuramente lavorare sia quello delle campagne informative e di sensibilizzazione per tutte le malattie di questo tipo, per tutte le patologie di questo tipo, perché non restino patologie nascoste, poco conosciute, e perché si superi lo stigma, che a volte c’è ancora quando parliamo di patologie simili.
Lo stigma di questo tipo, che ancora aleggia, non fa sempre emergere la sofferenza che le persone devono attraversare; non si permette una consapevolezza chiara e vera rispetto a quelli che sono oggi i percorsi che devono essere attivati. È chiaro che tutto questo lo si può fare – mi vado anche a ripetere – rispetto a un quadro nazionale che ce lo permetta di fare. Quindi, è fondamentale che ci sia un’espressione nazionale di inquadramento vero e proprio, perché allora poi le Regioni e le Aziende sanitarie possono adottare a cascata tutti quelli che sono i provvedimenti, nel mentre è altrettanto chiaro che noi abbiamo il dovere di seguire, sostenere, prendere in carico e assistere le donne che soffrono di questa patologia. È altrettanto vero che sempre di più in un modello come quello che ho descritto, un modello che vede anche la rete. Oggi parliamo sempre di più, quando parliamo di malattie croniche, e non solo, di costituzioni delle reti con i centri di riferimento, come dicevo prima, con i centri di primo, secondo e terzo livello, con i centri di prossimità, e anche con una formazione continua di quelli che sono i professionisti che fanno capo alla rete.
È chiaro che, come in tantissimi altri settori, l’approccio multidisciplinare diventa fondamentale, diventa fondamentale proprio nella presa in carico e nell’accompagnamento della persona. Quindi, la rete non può che essere una rete con un approccio multisettoriale e multidisciplinare, come oggi c’è in tanti campi quando parliamo di altre patologie invalidanti e croniche, come può essere quella della vulvodinia e della neuropatia del pudendo.
Io, quindi, chiudo qui il mio intervento introduttivo, non solo ringraziando per l’attenzione che oggi poniamo e i riflettori, che credo diventino importanti da questo punto di vista, ma anche per mettere in evidenza come la Regione Veneto saprà fare la sua parte, saprà sicuramente accompagnare il percorso che oggi è definito, ma non ancora approvato a livello nazionale, che è stato individuato, un po’ disegnato a livello regionale, ma deve essere poi messo in pratica, proprio nell’ottica di essere di supporto, di assistere, di dare un aiuto concreto, che poi è un aiuto non solo assistenziale ma, come è stato detto prima, anche un aiuto da un punto di vista sociale e psicologico, perché sappiamo che alcune malattie, come queste, non solo sono malattie che, se non curate, se non diagnosticate precocemente, diventano malattie croniche, e quando noi parliamo di cronicità parliamo anche di spesa sanitaria continua, mentre se investiamo sicuramente in prevenzione e in presa in carico precoce probabilmente anche un aspetto che può sembrare, a volte, un aspetto meramente economico è un aspetto che, però, ha dei benefìci, senza pensare, invece, ai benefici che ha la qualità della vita della persona, che altrimenti ha una qualità della vita sicuramente inferiore, più difficile, più a ostacoli, che, quindi, crea anche dei percorsi che nell’arco della vita assumono dimensioni di questo tipo.
Noi abbiamo sicuramente l’obbligo, il dovere di iniziare un percorso di attenzione, di monitoraggio, di strutturazione con i princìpi cardine che vi dicevo prima e anche di sollecitazione rispetto al livello centrale affinché questa diventi una patologia inserita nei livelli essenziali di assistenza e, a cascata, permetta la costruzione di una rete efficace, capillare, ma soprattutto ben radicata nei territori.
Speaker : Elena OSTANEL, Consigliera Gruppo Consiliare Il Veneto che Vogliamo
Grazie, Assessore.
Prima di passare la parola alla consigliera presidente Brescacin, ci tenevo anche a ringraziare e a dire i nomi di alcune persone che sono collegate, che ci stanno seguendo online, che non sono potute essere presenti. Parto, in realtà, dai presenti. La consigliera Cavinato, che interverrà alla fine. Alla fine ci sarà la possibilità anche di fare delle domande, degli interventi da parte del pubblico. Ve lo annuncio ora.
Ringrazio anche le ULSS, che hanno accettato l’invito e si sono dette interessate, e anche chi non è potuto essere presente oggi. Abbiamo presenti le ULSS 8, 1 e 6, se non ho dimenticato qualcuno. Chi non ha potuto essere presente ha detto e dimostrato l’interesse sul tema. La FIMMG Veneto, che ringrazio di essere presente qui oggi. Sono collegati il presidente dell’Ordine degli Psicologi, Luca Pezzullo, la consigliera di parità della Regione Veneto, Sandra Miotto, la consigliera di parità del Comune di Padova, Silvia Scordo, e l’assessore al sociale, Margherita Colonnello, sempre del Comune di Padova. Stanno arrivando i consiglieri Zottis e Lorenzoni, che sono in Commissione in contemporanea, purtroppo. Mentre la consigliera Guarda e la consigliera Scatto hanno avuto un contrattempo e non possono essere qui presenti oggi.
Ci tenevo a fare questi ringraziamenti anche per conoscere reciprocamente le persone che hanno aderito all’iniziativa. Credo che una delle questioni sia anche riconoscerci, magari, dopo questo momento di convegno e approfondimento, per dare gambe agli impegni che ci siamo presi. Grazie.
Passo la parola alla presidente Brescacin.
Speaker : Sonia BRESCACIN, Presidente Commissione V – Politiche socio-sanitarie
Grazie. Buongiorno a tutti quanti.
Il mio è un saluto personale e anche un saluto istituzionale, come Presidente della Quinta Commissione sanità e sociale di questo Consiglio regionale.
Ringrazio la collega Elena Ostanel, che ha portato all’attenzione nostra oggi, ma anche in precedenza, questa tematica, questa problematica che si inserisce all’interno di una sensibilità, di un’azione regionale che molto bene abbiamo compreso dall’intervento dell’Assessore che mi ha appena preceduto e che ha visto anche il Consiglio regionale, e quindi tutti quanti noi come Consiglieri regionali, essere parte nell’approvazione di una mozione che la collega aveva portato in questa Aula consiliare. Quindi, la mia non può che essere una presenza di saluto, di ascolto, in linea con quanto ha appena detto l’assessore Lanzarin. Rimango in disponibilità. Vorrei ringraziare la collega per l’opportunità di questo approfondimento.
Speaker : Elena OSTANEL, Consigliera Gruppo Consiliare Il Veneto che Vogliamo
Grazie, Presidente.
Entriamo nel vivo anche del contenuto del convegno di oggi.
Come vedete, la parità di genere, per quanto riguarda le relatrici di oggi, è una cosa al 100%. Anche questo è un tema che credo sia interessante anche per il taglio che diamo a questo convegno.
Volevo lasciare subito la parola al primo intervento.
Vi leggo il titolo, non perché non lo sappiate vedere dal programma, ma perché credo che dica di per sé il tema che affronteremo con Chiara Marra: “Vulvodinia e neuropatia del pudendo: cosa sappiamo di questa patologia e delle cure e perché andare verso centri specializzati in dolore pelvico”.
Uno dei punti dell’ODG che abbiamo votato all’unanimità impegna proprio a valutare come costruire questa Pelvic Unit anche all’interno di questa Regione.
Chiara Marra è ginecologa, coordinatrice dell’équipe per il dolore pelvico cronico a CasaMedica a Bergamo e membro del Comitato vulvodinia e neuropatia del pudendo.
La sua esperienza, già attiva su questo tema, ci permetterà, io credo, di capire come per lavorare sul tema di cui stiamo discutendo oggi e sulla malattia di cui oggi discutiamo serva un approccio terapeutico personalizzato prima di tutto, ma multimodale e di équipe. Sembrano dei paroloni incredibili, ma questo è nella pratica quello che Chiara già svolge e che credo possa essere preso ad esempio anche per altre regioni.
Grazie, Chiara. Ti lascio la parola. Le lascio la parola.
Speaker : Chiara MARRA, ginecologa, coordinatrice dell’équipe per il dolore pelvico cronico a CasaMedica Bergamo e componente del Comitato vulvodinia e neuropatia del pudendo
Buon pomeriggio a tutti. Grazie dell’invito. Mi fa molto piacere essere qui oggi e poter riportare anche quella che è la mia esperienza. Entro subito nel vivo del discorso. Faccio una piccola premessa per chi non è del settore. Parliamo di nervo pudendo, che è un nervo che origina dalle radici sacrali S2, S3, S4 e si porta anteriormente per andare a innervare i genitali esterni e la regione anale sia nell’uomo che nella donna. La vulvodinia e la neuropatia del pudendo interessano proprio le branche terminali di questo nervo.
Cosa si intende per dolore cronico? Un dolore che persiste o ricorre da più di tre mesi. Questo ci dice la classificazione internazionale delle patologie nella sua undicesima edizione. Per l’International Association for the study of pain è un’esperienza spiacevole fisicamente e psicologicamente, associata a un danno tissutale reale o potenziale. Questa definizione ha fuorviato, per un po’ di tempo, quello che era l’approccio diagnostico alla vulvodinia e alla neuropatia del pudendo, dove in realtà – lo vedremo tra poco – non abbiamo danni tissutali oggettivabili clinicamente. Fortunatamente nel 2019 la IASP ha incluso la vulvodinia nella propria classificazione e anche l’Organizzazione mondiale della sanità, da gennaio di quest’anno, ha adottato questo tipo di classificazione e di terminologie.
Dicevamo che vulvodinia e neuropatia del pudendo sono state scarsamente comprese da parte di pazienti e medici perché, a fronte di un dolore riportato cronico nell’area genitale, in realtà abbiamo una clinica scarsamente significativa da un punto di vista dell’esame obiettivo.
Ma che cosa riferiscono questi pazienti? Riferiscono bruciore, prurito o dolore nell’area genitale, difficoltà a stare seduti. Teniamo presente che le pazienti spesso le troviamo in sala d’attesa in piedi perché non riescono a stare sedute, anche quando raccolgo l’anamnesi a volte devono rimanere in piedi proprio per il dolore percepito anche su una seduta un po’ rigida. Difficoltà a indossare indumenti attillati, ad andare in bicicletta, a inserire tamponi interni, dolore durante i rapporti, ma anche dopo, protratto anche per giorni, dolore al clitoride, dove arriva una branca del nervo pudendo, ma anche dolore anale o rettale sempre per una delle famose branche che il nervo pudendo possiede e che arriva proprio a livello posteriore, anche con sensazione di corpo estraneo a livello rettale. Capiamo, quindi, che si tratta di una sintomatologia molto invalidante.
In genere, si procede con una diagnosi di esclusione, nel senso che, come accennavo prima, abbiamo delle difficoltà diagnostiche: prurito, bruciore, dolore nell’area genitale spesso possono anche essere dovuti, come vediamo nella prima immagine, a delle infezioni piuttosto che a patologie dermatologiche, come il lichen, piuttosto che a neoplasie.
Quindi, prima di tutto bisogna escludere queste patologie e poi procedere alla diagnosi. Sappiamo che il ritardo diagnostico per la vulvodinia è di circa 4-5 anni. Che cosa vuol dire? Vuol dire che queste donne continuano a itinerare da un medico all’altro alla ricerca di una soluzione ai loro sintomi. Spesso questi sintomi vengono confusi con una sintomatologia infettiva. Si pensa a una candidosi vaginale, si pensa a cistiti batteriche, perché spesso concomitano anche sintomi urinari. Si pensa, di solito, a un problema infettivo, quindi vengono prescritte creme, ovuli, antibiotici, antimicotici, che spesso non fanno altro che peggiorare la situazione. Quindi, si incorre proprio in un ritardo diagnostico.
Quali sono i quadri più frequenti? I più frequenti sono la vulvodinia provocata e quella spontanea, che si può accomunare alla neuropatia del pudendo, che può essere presente sia nell’uomo che nella donna. La vulvodinia provocata che cosa significa? Significa che il dolore, il bruciore, il prurito vengono esacerbati dal contatto, quindi dai rapporti sessuali, dalla visita ginecologica o urologica, dall’introduzione di assorbenti interni. Anche dai rapporti sessuali.
La diagnosi si fa attraverso l’anamnesi, ovviamente, ma anche attraverso il semplice tocco con un cotton fioc al livello del vestibolo vulvare, quindi dell’ingresso della vagina, di quella parte delle piccole labbra prossima all’ingresso vaginale. Un atto, un gesto, che normalmente non dovrebbe essere doloroso, in questo caso, invece, viene percepito come una sensazione proprio di bruciore, sensazione di spilli, scosse. Quindi, una sensazione alterata. Un test, quindi, apparentemente molto semplice, che tutti i ginecologi dovrebbero conoscere.
Il vestibolo vulvare è ricchissimo di terminazioni nervose, ma si è visto che nella vulvodinia provocata, detta anche “vestibolodinia”, queste terminazioni nervose tendono a proliferare, ad affastellarsi, a mettersi una vicina all’altra e anche a superficializzarsi, quindi a diventare proprio più superficiali a livello della mucosa: tutto questo poi genera dolore.
Quali sono i numeri? Sappiamo, da uno studio italiano condotto su un grande campione di donne che la vulvodinia provocata rappresenta il 72,6% dei dolori vulvari; colpisce donne di tutte le età (io ho pazienti anche bimbe, purtroppo).
Il picco però si ha tra i 20 e i 29 anni. La prevalenza è del 10,16% delle donne, sicuramente sottostimata, proprio per le difficoltà diagnostiche di cui vi dicevo prima. Solo il 10,25% delle pazienti ottiene la giusta diagnosi alla prima visita ginecologica, quello che vi dicevo prima, un po’ il turismo medico, purtroppo. Da un sondaggio condotto sembrerebbe che solo circa il 50% dei ginecologi ne ha una conoscenza diagnostica. Di questi, il 20% si sentono di iniziare una terapia; un altro 20% non si sente in grado di iniziare una terapia adeguata. A fronte quindi di una grossa richiesta, purtroppo abbiamo una carenza formativa.
Ma quali sono le cause della vulvodinia? Conosciamo quelli che sono i fattori che possono scatenarla. Sappiamo, ad esempio, che una disfunzione della muscolatura del pavimento pelvico, una ipercontrattilità dei muscoli che vanno a chiudere la pelvi può portare a dolore, così come i fattori neuro-infiammatori locali. Che cosa significa? Significa che donne che hanno avuto infezioni urogenitali ricorrenti, come ad esempio candidosi ricorrenti, a lungo andare sviluppano una sorta proprio di infiammazione; per i medici si parla di degranulazione dei mastociti intorno alle terminazioni nervose.
Abbiamo poi fattori ormonali che incidono nello sviluppo del dolore. Che cosa significa? Faccio due esempi: donne che prendono la pillola anticoncezionale per lungo tempo hanno una ipoestrogenizzazione delle mucose (quindi un assottigliamento, detto volgarmente, delle mucose), così come le donne che sono in menopausa, piuttosto che a lungo termine, si vanno ad instaurare meccanismi periferici e centrali del dolore, con una ipersensibilizzazione anche centrale, che mantiene il dolore.
Abbiamo poi i fattori psicosociali, di cui poi ci parlerà la dottoressa Zanardo, come i maltrattamenti nell’infanzia, fattori relazionali eccetera, eccetera, che possono concorrere all’instaurarsi della vulvodinia o al mantenimento della stessa. Teniamo presente che non basta un solo fattore di questi perché si instauri la vulvodinia, ma ci vogliono sempre due o tre fattori. Ne ritroviamo sempre almeno due o tre di questi, e su questi poi vedremo di andare a lavorare con la nostra terapia.
Per quanto riguarda la neuropatia del pudendo, che è presente negli uomini, ma anche nelle donne, abbiamo sempre sintomi riconducibili a bruciore, prurito, sensazione di scosse elettriche, spilli, come in tutte le altre neuropatie. Il dolore si estende ai genitali esterni e alla regione anale.
Quali sono le cause di neuropatia del pudendo? Anche qui sono diverse. Nella maggior parte dei casi si ha una ipercontrattilità della muscolatura del pavimento pelvico, raramente, ma è possibile anche una compressione da parte di tumori, un danno del nervo durante chirurgia pelvica, ad esempio per prolasso o radioterapia, intrappolamento del nervo dovuto a fibrosi, o a endometriosi, o a traumi, stiramento del nervo per attività sportiva inadeguata – e purtroppo ne vedo –, traumatismo e stiramento del nervo durante il parto – anche qui sarebbe fondamentale una formazione degli operatori presenti sulla scena del parto – e poi cause metaboliche come per tutte le altre neuropatie, quindi diabete, amiloidosi, herpes, chemioterapia.
Quindi, visti questi fattori, dovremo andare a individuare in quel paziente o in quella paziente quali sono i fattori che stanno mantenendo la patologia e andare a lavorare proprio su questi per essere più efficaci possibili. Quindi, se abbiamo una disfunzione della muscolatura del pavimento pelvico, la dottoressa Di Maria, fisioterapista, ci racconterà come agire attraverso la riabilitazione. Si possono associare anche farmaci miorilassanti. Nel caso di fattore neuroinfiammatorio, andremo a lavorare sulle infezioni ricorrenti per evitare che ritornino lavorando, ad esempio, sul microbiota intestinale, andremo a lavorare sui fattori ormonali attraverso il cambio della terapia ormonale, piuttosto che associazione di creme locali. Lavoreremo sui meccanismi del dolore attraverso classi di farmaci che si usano per il dolore neuropatico, come antidepressivi o gabapentinoidi. Lavoreremo, quindi, proprio a 360 gradi su tutti questi fattori. Ecco perché la necessità di una Pelvic Unit, dove sono presenti diversi attori che collaborano proprio per il benessere della paziente.
Vi cito altre possibili terapie: infiltrazioni locali, che sono, però, di seconda linea, come possono essere le infiltrazioni locali con cortisonici, anestetici locali, tossina botulinica, laser, integratori, terapia del dolore con oppioidi, blocco del nervo pudendo con infiltrazioni, radiofrequenza, infiltrazione del ganglio impari, posizionamento di neuromodulatori, fino ad arrivare alla chirurgia per la decompressione del nervo o, in casi rari, si esegue anche la vestibolectomia, cioè si va a rimuovere quella parte di vestibolo, l’ingresso della vagina fonte di dolore.
Ricordiamo anche la terapia sessuologica e la psicoterapia, nonché dieta, agopuntura, posturologia. La posturologia, ad esempio, va a lavorare proprio sulla iper-contrattilità del pavimento pelvico. Quindi, effetto sinergico di tutte queste terapie, ma anche tanti medici, fisioterapisti, ostetriche, psicologi. Tanti attori sulla scena di questa Pelvic Unit.
Al momento sappiamo che in Italia la situazione è abbastanza critica, perché di Pelvic Unit con il sistema sanitario che lavorano in questo modo ce ne sono veramente poche (per essere ottimiste). Per cui, abbiamo grande richiesta a fronte di elevati costi che le pazienti e i pazienti devono sostenere per riuscire a curarsi a 360 gradi.
Sappiamo, inoltre, che vulvodinia e neuropatia del pudendo sono anche in comorbidità con altre condizioni dolorose. Vanno a braccetto, ad esempio, con fibromialgia, endometriosi, sindrome del colon irritabile, cistite interstiziale, emicrania. Sono veramente pazienti che vanno accompagnati in un percorso multidisciplinare e personalizzato.
In riassunto, quindi, quello che già si diceva nell’introduzione: l’importanza di una compartecipazione da parte del Sistema sanitario nazionale, l’importanza della formazione di medici, fisioterapisti, ostetriche, psicologi.
Diamo vita a queste Pelvic Unit, anche nell’ambito pubblico.
Grazie per l’attenzione.
Speaker : Elena OSTANEL, Consigliera Gruppo Consiliare Il Veneto che Vogliamo
Grazie alla dottoressa Marra. Io lascio subito la parola, introducendo invece la dottoressa Silvia Di Maria, fisioterapista del pavimento pelvico, consulente sessuale (Treviso) e componente del Comitato Vulvodinia e neuropatia del pudendo.
Già nell’intervento precedente si è detto di alcune questioni che probabilmente Silvia Di Maria oggi porterà. Come è stato detto anche in introduzione, è stato nel 2018 che finalmente è partito l’iter di riconoscimento da parte dell’Organizzazione mondiale della sanità di vulvodinia e neuropatia del pudendo, iter che si è concluso nel 2022.
In Italia si sta facendo un tentativo, un lavoro di inserimento nei LEA, cosa che sta accadendo in alcune Regioni, ma non in tutte, per cui serve sicuramente un provvedimento nazionale. L’idea che anche la fisioterapia sia una delle discipline mediche che deve prendere in carico e deve lavorare su questa patologia non è una cosa scontata, soprattutto per le persone che non sono addette ai lavori.
È interessante allora, credo, il contributo che la dottoressa Di Maria può dare per far vedere quell’approccio multidisciplina che questa patologia ha bisogno di avere per essere preso davvero in carico. Prego.
Speaker : Silvia DI MARIA, fisioterapista del pavimento pelvico, consulente sessuale (Treviso) e componente del Comitato vulvodinia e neuropatia del pudendo
Abbiamo detto che la fisioterapia si inserisce in un approccio multidisciplinare… La fisioterapia del pavimento pelvico si inserisce in un approccio multidisciplinare nel trattamento di queste patologie, perché queste patologie hanno in realtà un denominatore comune, che è appunto l’ipercontrattilità della muscolatura del pavimento pelvico, o meglio, un’alterazione delle strutture muscolo-scheletriche del bacino tra cui troviamo anche i muscoli del pavimento pelvico.
Il pavimento pelvico rappresenta la base della cavità addomino-pelvica e corrisponde alla zona genito-urinaria e anale.
Sappiamo che è costituito non solo da tessuto muscolare, ma anche da tessuto osseo, da tessuto connettivo e naturalmente dagli organi che esso contiene. Le corrette funzioni del pavimento pelvico sono garantite dal complesso rapporto anatomico e funzionale tra tutte queste strutture che lo compongono. Le funzioni sono quella urinaria e anorettale, della statica pelvica, sessuale, biomeccanica e nella donna riproduttiva, quindi nella gravidanza e nel parto.
Per svolgere correttamente la loro funzione, i muscoli del pavimento pelvico devono essere allo stesso tempo forti e solidi, ma anche elastici e adattabili. Questo è dato dalla caratteristica di avere una componente contrattile e una componente viscoelastica. Quando questi muscoli funzionano normalmente, sono appunto in grado di contrarsi e di rilassarsi. Quando, invece, abbiamo delle alterazioni della muscolatura pelvica, possiamo parlare di iperattività dei muscoli pelvici, quindi muscoli che non sono in grado di rilassarsi o che rimangono contratti, quando invece sarebbe necessario il rilassamento, abbiamo anche una ipoattività dei muscoli pelvici o una a-funzionalità dei muscoli pelvici, nei quali appunto non è rilevabile un’attività muscolare alla richiesta della contrazione attiva. In realtà, nelle sindromi dolorose troviamo prevalentemente l’iperattività della muscolatura pelvica e l’a-funzionalità, quindi i muscoli che non sono in grado di contrarsi attivamente.
Cosa succede quando c’è uno stato di iperattività della muscolatura? Avvengono delle modificazioni fisiologiche a livello del pavimento pelvico, quindi vengono alterate quelle che sono le sue normali funzioni, con un impatto sulla vita del paziente. Non solo, avviene una serie di modifiche metaboliche locali, quindi si riduce il flusso sanguigno, il drenaggio linfatico, c’è una sofferenza del tessuto nervoso e una limitazione dell’escursione articolare, che andrà ad alimentare e a sostenere e potrà portare alla formazione di trigger e tender point, che sono delle aree circoscritte e indurite, la cui pressione può evocare nel paziente un importante stimolo doloroso, che può essere percepito non solo nel punto in cui avviene la compressione. A volte facendo la valutazione, la paziente o il paziente può riferire un dolore che avvertiva nella quotidianità. Quindi, quotidianamente sentiva questo dolore, ma era in una zona totalmente diversa, per esempio, dalla compressione eseguita a livello di un muscolo pelvico.
L’iperattività della muscolatura ha un ruolo sia nella formazione sia nel mantenimento della condizione che possiamo avere di dolore. L’iperattività dei muscoli del pavimento pelvico si può trovare in particolari situazioni, in diverse situazioni, però ho sottolineato la sindrome di pelvica dolorosa, perché, come dicevamo prima, c’è quasi sempre un denominatore comune di iperattività di questi muscoli in queste patologie.
La riabilitazione del pavimento pelvico è un settore della medicina riabilitativa che consente di recuperare le funzioni che sono andate perdute. Quindi, in questo caso, la funzione urinaria, anorettale, sessuale della statica pelvica biomeccanica, ma anche del dolore, in questo caso, perché parliamo anche di dolore, guardando un po’ a quello che è il significato più ampio della riabilitazione, anche di poter far riacquisire ai pazienti la stima perduta.
La riabilitazione del pavimento pelvico avviene attraverso una valutazione funzionale iniziale e una successiva pianificazione di un trattamento con degli obiettivi che possono essere a breve, medio o lungo termine. È fondamentale eseguire una valutazione di tutta l’area pelvica, non solo dei muscoli pelvici, ma anche delle strutture limitrofe, quindi sia delle strutture nell’area proprio del bacino, ma anche quello che può essere l’addome, il diaframma respiratorio, il tronco, proprio perché, in realtà, il pavimento pelvico lavora in collaborazione con altre strutture.
Per me la cosa importante è che si possa fare una valida valutazione, perché molto spesso, purtroppo, le pazienti arrivano prima da me che dai medici. Oppure hanno comunque girato già numerosi specialisti, che però non sono riusciti a dare una risposta al loro dolore. Quindi, una formazione adeguata, anche di professionisti sanitari che si occupano di queste patologie, come i fisioterapisti, le ostetriche o gli infermieri riabilitatori, può aiutare ad avere una diagnosi un po’ più precoce. Si fa, in questo caso, un’anamnesi iniziale, un esame obiettivo, con una valutazione visiva e manuale, se possibile anche intracavitaria, quindi con un accesso per via vaginale o per via rettale, e poi ci si può eventualmente aiutare con una valutazione strumentale cartacea, come per esempio dei diari minzionali o dei diari del dolore, per poter capire meglio la situazione del singolo paziente.
Prima di iniziare il trattamento, è necessario considerare se sia utile l’intervento di altri professionisti. A me piace questa immagine, perché non ci deve essere il semplice invio a un altro professionista, ma ci deve essere una collaborazione, un confronto continuo, proprio in team, come diceva prima la dottoressa Marra, per riuscire a ottenere il risultato maggiore, ossia la guarigione o il miglioramento della qualità di vita dei pazienti.
Anche qui, chiaramente, io dico, prima di iniziare il trattamento, per il motivo che ho specificato prima, che purtroppo a volte arrivano prima da me e da altri medici che potrebbero già partire con una terapia, per lo meno farmacologica.
Il trattamento riabilitativo vero e proprio prevede una terapia, un trattamento globale del sistema scheletrico, muscolare, legamentoso e delle fasce del pavimento pelvico e delle altre strutture che siano coinvolte.
La parte sicuramente importante è la terapia manuale, che è una branca, una specializzazione della fisioterapia, che tratta proprio le patologie neuro-muscolo-scheletriche e che utilizza degli approcci di trattamento che sono altamente specifici, nei quali sono incluse le tecniche manuali e gli esercizi terapeutici.
Quindi, in questo caso, sarà soprattutto mirato al far prendere alla paziente, ai pazienti la consapevolezza dell’iper attività che hanno questi muscoli e ad insegnare loro degli esercizi che possano favorire il rilassamento muscolare, modificando i parametri alterati in questo caso, appunto, dell’iper attività o della non contrattilità del muscolo.
La terapia manuale comprende molte tecniche di trattamento, che chiaramente dipendono anche da quella che è la formazione del singolo specialista, del singolo professionista che se ne occupa. Ci sono degli studi che dimostrano che c’è un buon riscontro con delle tecniche che vanno proprio a disattivare i trigger point, quindi con delle tecniche di digitopressione e di strofinamento o massaggio di Thiele, ma anche poi tutte quelle che sono le tecniche che possono trattare esiti cicatriziali, le mobilizzazioni articolari, le manipolazioni connettivali, lo stretching, la rieducazione posturale, gli esercizi respiratori, la facilitazione propriocettiva neuromuscolare. Ne ho citate alcune, ma sono tantissime le tecniche che si possono utilizzare.
Ho presentato due studi che dimostrano l’importanza della terapia manuale nel trattamento di queste patologie. Poi, abbiamo – altra cosa importante – l’educazione neurofisiologica del dolore nel paziente, quindi proprio un programma che possa aumentare la conoscenza dei meccanismi che danno vita al dolore e che aiutano il paziente ad acquisire delle modalità per poter ridurre e diminuire l’intensità dei sintomi e produrre nelle persone dei cambiamenti comportamentali.
Sicuramente le persone che soffrono di queste patologie a volte vanno in panico, vanno in ansia e hanno bisogno di un continuo confronto con lo specialista per capire se quel sintomo possa essere di nuovo riconducibile alla malattia. Ci sono poi delle terapie strumentali, delle terapie fisiche che possono essere utilizzate. È importante sottolineare che non possono essere utilizzate isolatamente, ma in combinazione con altre tecniche riabilitative, quindi, per esempio, il biofeedback, una tecnica che permette la presa di coscienza della muscolatura perineale e della sua funzione. Soprattutto, in questo caso, viene utilizzata per prendere consapevolezza di quello che è lo stato di tensione e favorire il rilassamento volontario, si parla quindi di un biofeedback di rilassamento.
La Tens è un’elettrostimolazione con una finalità antalgica, che permette un effetto analgesico grazie alla produzione di sostanze endogene morfino-simili. Qui è importante la scelta dei parametri che vanno adattati al singolo caso. La cosa positiva è che può essere fatta anche a domicilio dal paziente. Stessa cosa per una forma di neuromodulazione che è la stimolazione del tibiale posteriore: qui vengono applicati degli elettrodi in un punto specifico, tecnica che sembra aver dimostrato dei miglioramenti nei sintomi urologici, soprattutto, quindi nella vescica iperattiva, nell’urgenza minzionale, e proprio nel dolore pelvico cronico.
Anche in questo caso abbiamo la possibilità di fare un trattamento domiciliare, e non è un trattamento invasivo.
Vi sono poi altre terapie fisiche che possono essere utilizzate, che sono però di uso un po’ più recente, ma che, come dicevo prima, vanno sempre associate alla terapia manuale. Altra cosa importante è insegnare l’autotrattamento, quindi dare al paziente degli strumenti da poter utilizzare in autonomia, o esercizi che possono eseguire a domicilio proprio per mantenere i risultati ottenuti. Qui ne ho indicati alcuni: vengono insegnati degli esercizi, delle tecniche di respirazione, esercizi di stretching; non solo, ma vengono anche dati degli strumenti con i quali i pazienti, quando sarà il momento, potranno eseguire questi esercizi a domicilio per mantenere i risultati che hanno raggiunto.
Ultima ma non ultima, la terapia comportamentale, con tutto un insieme di strategie quindi che il paziente può mettere in pratica per ridurre i fattori scatenanti o, qualora si presenti la sintomatologia dolorosa, una gestione di quello che è il training vescicale, il training intestinale e poi anche, appunto, una consulenza per quel che riguarda la sessualità.
Alcuni piccoli consigli: per esempio nella donna si possono utilizzare lubrificanti durante i rapporti, preferire detergenti naturali, utilizzare il calore per rilassare l’area pelvica e la zona sovra-pubica, consigli che vengono dati anche chiaramente in base ad ogni singolo caso.
Il ruolo della riabilitazione pelvico-perineale quindi è proprio quello di portare il paziente ad avere conoscenza del pavimento pelvico e della sua attività, prendere conoscenza della natura biopsicosociale del proprio dolore, di ridurre e normalizzare l’ipertono muscolare, eliminare i trigger point, riabilitare l’eventuale funzione urinaria, anorettale, sessuale o motoria che può essere compromessa, portare a una risoluzione del dolore e modificare quelle abitudini errate del paziente che possano mantenere o peggiorare il dolore.
Quindi, come abbiamo detto all’inizio, la riabilitazione pelvi-perineale rappresenta una fondamentale opzione terapeutica per il trattamento di queste patologie, specie quando è presente un’alterazione della struttura muscolare perineale o delle strutture muscolo-scheletriche limitrofe.
Brevemente la situazione in Veneto. Al di là di quello che è stato detto, quindi un po’ il ritardo diagnostico e anche il ritardo nell’inizio del trattamento riabilitativo che può portare a una cronicità della patologia e, quindi, a una maggiore difficoltà nella risoluzione, purtroppo ci sono ancora delle diagnosi errate e delle errate terapie riabilitative. Quindi, ad esempio, anche solo richiedere un’attivazione della muscolatura perineale, quindi i Kegel tradizionali, senza aver prima riportato il muscolo alla sua normalità, può addirittura peggiorare la sintomatologia del paziente. Qui in Veneto purtroppo c’è la necessità di invio a professionisti in altre regioni perché, anche se la diagnosi viene fatta, poi, come diceva prima la dottoressa Marra, purtroppo non c’è una continuità in quella che è una terapia adeguata dal punto di vista farmacologico, o quando si rende necessario un cambiamento della terapia non tutti i medici, purtroppo, lo riescono a fare.
C’è chiaramente la necessità di comunicazione tra i professionisti, e questo purtroppo richiede tempo, tempo che va oltre il proprio orario di lavoro. Quindi, a volte ci si sente nei momenti liberi, quindi la sera, il sabato o la domenica. Deve essere fatto per il paziente, però non sempre e non in tutte le situazioni è possibile avere questa realtà. Quindi, si rende necessario, come dicevamo prima, un team.
Grazie. Io ho terminato.
Speaker : Elena OSTANEL, Consigliera Gruppo Consiliare Il Veneto che Vogliamo
Grazie alla dottoressa Di Maria.
Ringrazio anche il consigliere Lorenzoni, la consigliera Zottis e la consigliera Cestari, che ci sta seguendo on-line, di essere arrivato e arrivate a seguire il convegno.
È stato introdotto anche il tema del benessere psicologico, che è impattato fortemente da questo tipo di patologie, quindi con la dottoressa Zanardo, psicologa, psicoterapeuta e direttrice sanitaria dello Studio Fenice, a Noale, e membro del Comitato vulvodinia e neuropatia del pudendo, andiamo ad affrontare questo tema quanto mai importante.
Per quanto mi riguarda, da quando mi sono occupata di questo tema, una delle questioni che mi ha sempre colpito è il fatto che molte donne non vengono credute nel momento in cui raccontano il loro disagio, il loro dolore. È un tema che impatta fortemente sulla salute mentale delle donne. Penso che questo contributo porti un altro apporto fondamentale alla giornata di oggi.
Grazie.
Speaker : Federica ZANARDO, psicologa, psicoterapeuta, dirigente sanitaria dello Studio Fenice (Noale) e componente del Comitato vulvodinia e neuropatia del pudendo
Grazie a voi. Grazie per l’invito.
Vorrei offrire a tutti un caffè per riuscire a seguire bene quello che vorrei dirvi. Vorrei sottolineare una cosa, anche. Noi tre qui presenti ‒ la dottoressa Marra, la dottoressa Silvia Di Maria e io ‒ siamo tutte libere professioniste. Quindi, in tasca non ce ne viene niente oggi. Al contrario. Siamo qui a chiedere aiuto e a fare un appello alla struttura pubblica. Quello che noi stiamo facendo oggi è davvero un andare incontro a delle pazienti che non possono permettersi di curarsi.
Quindi, sì, il nostro è un intervento clinico, ma forse è anche, in parte, un intervento politico. Speriamo di essere in grado di farlo.
Chi si rivolge allo psicoterapeuta di uomini e donne che soffrono di questa patologia? Chi ha ricevuto una diagnosi corretta, quindi, come si diceva prima, si può lavorare in équipe e si può aiutare il paziente a soffrire quantomeno un po’ meno e a migliorare la propria qualità della vita, oppure donne e uomini che vengono invitati dopo numerose visite e la loro malattia viene definita “disturbo psicosomatico”, cosa che a me e a molti colleghi fa molto arrabbiare. Ovvero quando vai dal dottore e ti viene detto: “Non vedo nulla, non hai nulla. È lo stress. Vai a casa e riposati. Vedrai che starai molto meglio”.
Il disturbo psicosomatico, per chi non lo sa, è la risposta fisica a un disagio psicologico. Questo lo sappiamo dai tempi di Cartesio e lo dicono tutti i manuali nazionali ed internazionali. Le cause della vulvodinia e della neuropatia del pudendo non hanno nulla a che fare con un disagio psichico. Certo, ci possono essere dei cluster psicosessuali, come diceva prima la dottoressa Marra, che possono aiutare al mantenimento della patologia, ma certamente non sono quelli la causa scatenante.
Non sto qui, quindi, ad elencarvi tutte quelle che potrebbero essere le cause, perché lo hanno già detto le colleghe. Cosa sappiamo? Sappiamo che sicuramente non è un dolore psicosomatico, che sicuramente non è lo stress, che sicuramente non sono uomini e donne che si stanno inventando di avere qualcosa semplicemente perché tu, medico specializzato, non sai riconoscere quella patologia. Perché semplicemente nessuno ti ha formato.
Noi abbiamo scuole di specializzazione in ginecologia e in urologia dove non viene spiegato che cos’è la neuropatia del pudendo o che cos’è la vulvodinia. Quindi, io, psicoterapeuta, dall’anamnesi riesco a capirlo prima di loro. Per me questa è una cosa indegna, nel senso che io, psicoterapeuta, non ho le competenze mediche per farlo. Eppure non è difficile fare una diagnosi accurata, facendo semplicemente un’anamnesi.
Quindi, quando arrivano queste donne sono donne che arrivano dopo 4-5 anni di dolore cronico, distrutte. O quando arrivano questi uomini è difficilissimo che si affidino e ti dicano “adesso cosa devo fare?”. Tu, come psicoterapeuta, li devi rimandare indietro, non li devi dire che hanno bisogno di una cura psicoterapeutica. Certo, accompagnata forse, dopo tutto quello che hanno passato, alla loro vita, ma li devi rinviare a medici specializzati in tutta Italia, una quindicina o una ventina, che lavorano nel privato e molto spesso non lavorano nel pubblico, per fare una diagnosi accurata, per intraprendere una terapia medica. Quindi, no, non è tutto nella loro testa e soprattutto non perché non ci siano osservazioni cliniche rilevabili, non puoi dire che non esiste la patologia.
Lo swab test, la capacità manuale del medico, del fisioterapista, del neurologo, del ginecologo, dell’urologo sono quelle specializzazioni attraverso le quali puoi capire se il paziente ha o non ha la patologia. Cosa cambia, però, nella vita di queste pazienti o di questi pazienti? Qui io, purtroppo, vengo definita un po’ brutale nel descrivere che cosa cambia, ma amo esserlo perché vorrei tanto che questa patologia venisse riconosciuta come invalidante. Partiamo da una cosa molto semplice. Chi ha fatto le scuole superiori forse ha studiato la piramide di Maslow, ovvero quali sono i bisogni fondamentali dell’uomo. Si parte dalla base. La base è mangiare, dormire, bere, la sessualità e svolgere funzioni di defecazione e di minzione. Bene. Queste donne e questi uomini per andare a fare la pipì molto spesso devono farla in una vasca da bagno calda, altrimenti non riescono ad urinare. Queste donne e questi uomini devono farsi dei bidet dopo aver fatto la pipì o dopo essere andati a defecare, perché altrimenti l’ano brucia a livelli tali da doversi distendere a pancia in giù. Non riescono a stare sedute, quindi 10-15 minuti al massimo è l’indicazione che viene data dai medici, alzarsi, camminare e ritornare a sedersi. Questo, secondo voi, oggi qualcuno di voi avrebbe potuto farlo con scioltezza? Nessuno. Per alzarsi 10-15 minuti alla volta per poter continuare a lavorare per non sentire le scosse, stylet vengono definite in inglese, cioè stilettate, una spada che ti si infila all’interno della vagina o all’interno dell’ano, tu devi alzarti, rilassare la muscolatura e lasciare che il nervo ritrasmetta come prima. Quale datore di lavoro ti dice “Sì, prego, alzati pure ogni 10- 15 minuti”? Ripeto, noi siamo professionisti privati. Se noi rilasciamo una carta al datore di lavoro, quella carta non ha nessuna validità, me lo insegnate voi.
Noi abbiamo bisogno della carta di qualcuno che lavori nel pubblico, abbiamo bisogno di una legge 104, abbiamo bisogno di un riconoscimento. Abbiamo bisogno di una malattia riconosciuta perché questa persona possa almeno continuare a vivere in maniera dignitosa.
Io ho visto ragazzini, ragazzine universitarie abbandonare gli studi, mi dicevano “mi vergogno, sono l’unica in piedi, in Aula Magna; io ho mostrato al professore la mia carta, ma lui mi dice che io devo stare seduta a svolgere il compito”.
Non c’è nessuna legge che protegge queste donne e questi uomini. Non riescono a camminare, molto spesso, me lo insegna la dottoressa Silvia di Maria, soprattutto in discesa e in salita, dove il pavimento pelvico viene sollecitato. Quando ad alcune pazienti abbiamo chiesto di venire qui a Venezia per partecipare al convegno, sapendo che Venezia è dotata di molti ponti, hanno detto “non ce la facciamo”.
La sessualità, il luogo deputato al piacere è il luogo deputato al dolore. E il dolore nevralgico voi sapete che è il dolore peggiore in assoluto, è il dolore più grave, è il dolore più percepito: non solo la sessualità eterodiretta, cioè quella con il proprio partner o la partner, ma anche quella autodiretta, cioè anche la masturbazione non è possibile. Non solo: vedere la scena di un film dove due persone si baciano, che produce eccitazione, produce dolore, produce scosse a livello vaginale, produce bruciore a livello tale da dover andare a farsi un bidet caldo, o a mettersi qualcosa di caldo perché il muscolo si è talmente contratto da produrre dolore; oppure, è partita una scossa di tipo elettrico.
Mangiare o bere determinate cose: per donne e uomini che soffrono di queste patologie, si è capito che bevendo o mangiando determinati cibi e alimenti peggiorano la situazione, quindi a loro a volta sono vietati magari l’alcol, il caffè, o altri tipi di alimenti che sono considerati irritanti.
Io mi fermerei già solo qui per chiedere a ciascuno di voi: se fosse vostro figlio, vostra figlia, o il vostro partner, non sono già queste ragioni sufficienti per considerarla una malattia invalidante?
Una ricerca dell’AINP, un’associazione italiana nazionale sulla neuropatia del pudendo, nel 2020, quindi due anni fa, ha dimostrato che più del 50% è costretto ad abbandonare il lavoro: pensate cosa vuol dire per un padre di famiglia, pensate cosa vuol dire per una famiglia. Se non puoi star seduto, come fai a lavorare? Se non puoi andare in macchina come fai a lavorare?
La vita familiare viene completamente stravolta: una mamma non può più portare a scuola i propri figli; non ti posso più insegnare ad andare in bicicletta; non posso più portarti a fare sport, perché devo stare o sempre in piedi o sempre sdraiata, seduta non posso stare.
La vita di coppia. Molte donne e molti uomini con questa patologia si separano. La sessualità viene completamente allontanata, nel senso che il partner ha paura di provocare dolore alla partner, e il contrario. Quindi, la sessualità viene quasi azzerata. Questo per la vita di coppia sapete che è gravissimo. Certo, ci sono altri modi, e per questo è importante approcciarsi a una terapia anche psico-sessuologica.
La depressione non avviene solo nei pazienti, avviene anche nel partner che vive con il paziente, perché la vita familiare e di coppia è stravolta da questa patologia, la vita sociale. Molte donne hanno una contrattura a livello parauretrale, vicino all’uretra (dove esce la pipì), per cui lo stimolo alla minzione è così frequente che hanno la necessità di andare al bagno almeno 10-11 volte durante la giornata. Quindi, quale amica ti dice “certo, vengo con te fare una passeggiata” sapendo che ti devi fermare 10-15 volte per trovare un bagno dove poter andare a fare la pipì? Ho visto uomini e donne partecipare a battesimi, comunioni o matrimoni distesi in canonica, sdraiati, o uomini e donne che erano seduti in ginocchio a pranzo pur di partecipare. Capite quanto invalidante è questa patologia.
Gli studi internazionali dimostrano che il 17% di chi ha dolore cronico ha, in contemporanea, un 16% di sintomi depressivi. Questo è ovvio perché, se ti alzi con il dolore e vai a dormire con il dolore, la tua vita non può essere sicuramente felice. Di questi, però, il 4% sviluppa una depressione maggiore. Chi è del settore sa che la depressione maggiore implica anche intenti suicidari. Bene, negli stessi dati del 2014, gli stessi identici dati, l’Associazione italiana neuropatia del pudendo riporta che 17 pazienti con dolore pelvico cronico – vedete, è lo stesso identico numero 17% – sviluppano patologie psichiatriche, quindi ansia e depressione, nel 4% dei casi sono patologie maggiori. Da gennaio ad oggi abbiamo avuto quattro suicidi dovuti a queste malattie.
Allora cosa può fare la psicoterapia? Quello che può fare in altre patologie, come la sclerosi multipla, come la SLA, come le malattie oncologiche, e cioè aiutare il paziente all’accettazione che questa è una malattia cronica, molto spesso, che è una malattia estremamente invalidante, per la quale è necessario attuare un cambiamento degli stili di vita per riuscire a convivere con questa malattia. Che cosa bisogna cominciare a fare, a livello cognitivo? Parlare, cominciare a dare un nome, cominciare a parlare dei nostri organi genitali. Noi, purtroppo, viviamo in uno Stato dove la nostra cultura non ci ha certamente aiutato a parlare di vulva, vagina, clitoride, sfintere anale, ano, eccetera, però queste pazienti devono cominciare a dire che cosa hanno. Grazie anche alla costituzione di questo Comitato e di altre associazioni precedenti, credo si sia potuto cominciare a dire che cos’è la vulvodinia e la neuropatia del pudendo, senza che questi uomini e queste donne continuino a dire “ho le emorroidi”, “ho dolore al nervo sciatico”. No. “Ho la vulvodinia, e ti spiego cos’è”. “Ho la neuropatia del pudendo, e ti spiego cos’è”. “Non posso più avere rapporti con mio marito da vent’anni, e ti dico perché”. O una ragazza giovane che ti dice “mi piaci, mi piacerebbe uscire con te, ma sappi che non posso avere rapporti con te perché ho questo tipo di problema”.
Parlare, comunicare è la prima cosa da fare. Dire che cos’è la malattia e che cosa comporta. Parlare con il partner, la compagna o il compagno, ma parlare anche con i propri familiari. Ci sono mamme e papà che non credono ai propri figli perché il medico di base ha detto: “Signora, io non vedo nulla. L’ecografia non dice nulla. Le analisi non dicono nulla. È tutto nella sua testa”. Sono uomini e donne, a volte, lasciati completamente da soli. Invece la famiglia ha un ruolo fondamentale e importante. Le amicizie, il contesto sociale.
Questi uomini e queste donne devono prendere moltissime medicine. Su questo il Comitato molto spesso ci scherza su, però stiamo parlando di farmaci che sono antidepressivi usati come antinevralgici, ansiolitici utilizzati come miorilassanti. Quindi, molto spesso anche i farmacisti ti dicono: “Continua ancora quest’ansia, questa depressione?”. Non è ansia o depressione. È vulvodinia, è neuropatia del pudendo, che si tratta con questi farmaci.
Questi farmaci hanno degli effetti collaterali ‒ me lo insegna la dottoressa Marra ‒ devastanti, a volte. Alcuni di questi producono anche allucinazioni visive e uditive. Quello che deve fare lo psicoterapeuta, il medico, è essere costantemente in rapporto con il paziente, perché devono superare quella prima fase di effetti collaterali, che a volte è terribile, è molto difficile. Senza contare che, se sono antidepressivi antinevralgici, abbassano ancora di più la libido. Se sono ansiolitici, molto spesso inducono un livello di sonnolenza molto importante. Sono pazienti che devono essere trattati a livello anale e vaginale. Vado nello specifico. La dottoressa Silvia di Maria è una fisioterapista che, come tutti gli altri suoi colleghi, deve instaurare con i pazienti un rapporto di grande fiducia per riuscire a manipolare una muscolatura di cui voi, se vi dico alcuni nomi, non ne conoscete neanche l’esistenza di averle nel vostro corpo. Non è piacevole, senza dubbio. Ti devi affidare e fidare e devi anche spendere un sacco di soldi per poterlo fare, perché devi pagare il medico, devi pagare il fisioterapista, devi pagare lo psicoterapeuta.
Credo il mese scorso una mamma mi ha detto: “Io ho chiesto a mio figlio ventunenne la sua borsa di studio di ingegneria per potermi pagare le terapie”. Ecco, allora, che noi come psicoterapeuti ci fermiamo almeno a confrontarci con i colleghi medici e fisioterapisti e cerchiamo di venire incontro alle esigenze economiche di questi pazienti. Però, quello che facciamo oggi è un appello al sistema pubblico. Noi non possiamo farlo, non possiamo speculare sulla salute di queste persone.
Certo, ci sono colleghi anche che lo fanno, che chiedono alla prima visita 450 euro, che propongono la risoluzione di tutto con 600 euro. Andate in internet e guardate, vedete.
Questo, secondo me, è drammatico, perché quando c’è la terra di nessuno, poi qualcuno se ne approfitta. Quello che facciamo noi è chiedere a queste pazienti di fermarsi da uno specialista, tanto ormai ci conosciamo tutti, sappiamo chi se ne occupa e i più validi, le persone che davvero ne sono a conoscenza e di avere pazienza, perché la cura o il miglioramento prevede comunque uno o due anni, a volte tre, a volte quattro. Non sono pochi. Quindi, un paziente con dolore cronico, disperato, fa il giro delle sette chiese perché dice: “Ma ci sarà un modo per guarire”. Poi, per fortuna, essendo tutti professionisti molto onesti, che ci conosciamo, vengono rimandati all’origine. Si dice loro “Fidati, continua, stai lì e prova, perché comunque ti avremmo dato lo stesso tipo di terapia” oppure “Parlo con il collega e vediamo dove possiamo arrivare insieme”.
Come diceva prima la dottoressa Marra, molto spesso si vedono donne dopo il primo figlio avere questo tipo di difficoltà, della neuropatia del pudendo, per esempio, che viene stirato durante l’espulsione del bambino. E chi te lo fa fare ad avere un altro figlio quando magari ne hai il desiderio? Oppure molte donne ne soffrono e a volte a molte di loro viene sconsigliato di avere un bambino, se non dopo una guarigione o quantomeno un grande miglioramento, e in una struttura che sappia come fare.
Allora, proponi la strada magari dell’affido o dell’adozione, ma quanto costa una adozione? Voi lo sapete bene. Ci si aggira intorno ai 15.000-20.000 euro, quindi a queste donne viene negata pure la maternità.
Viene negata la maternità e viene negata anche la femminilità. Non possono portare abiti stretti, non possono portare scarpe col tacco, devono portare pantaloni o gonne, ma con il cavallo molto lungo, devono portare delle sneakers: quindi la sessualità, la femminilità, la maternità vanno a farsi benedire. E le lasciamo da sole, queste donne?
Devono stare sedute su sedute comode: per esempio, queste sedie sono scomodissime, ve lo dico; si vede chi sono le pazienti in fondo, perché si alzano e si abbassano, è molto semplice, ormai l’occhio clinico lo vede. Oppure, qualcuno in sala è in piedi perché ha questa patologia.
Devono sempre girare con un cuscino e devono avere la confidenza con gli amici e con le amiche, per dire “devo mettere il cuscino, ogni dieci minuti mi vedrete muovermi e andare da un’altra parte”. Questo è il problema minore.
Il problema maggiore è quando veramente non possono proprio più star sedute, e quindi sono costrette a stare sul sedile posteriore della macchina del proprio marito, del proprio suocero, o chi sia, per poter fare un viaggio, per poter andare a fare una visita, per poter star sdraiate.
Io conosco pazienti che non sono arrivate dalla dottoressa Marra, o da altri dottori in giro per l’Italia, in camper, pur di stare distese.
Molte donne e molti uomini hanno scoperto il monopattino vent’anni fa. Adesso va molto di moda, ma saggiamente prima è stata definita – raramente lo sento, e sono stata molto felice di averlo sentito oggi – questa malattia, la neuropatia del pudendo, “malattia del ciclista”, proprio perché i pudendi vengono sollecitati dal sellino della bici e se si fa eccessivo sforzo in bicicletta, il pudendo viene eccessivamente sollecitato e quindi si infiamma.
La bici, quindi, chi soffre di neuropatia del pudendo o di vulvodinia se la scorda.
La zona va tenuta al caldo, quindi bisogna utilizzare dei termofori che fanno caldo durante la notte, e durante il giorno degli scaldini che hanno comunque un determinato costo, e stare al caldo. Queste donne e questi uomini invidiano voi che potete andare a fare il bagno; loro non possono andare a fare il bagno al mare, perché l’acqua fredda costringe la muscolatura pelvica, quindi non si può andare a fare il bagno.
Non si può andare in montagna perché la salita e la discesa fanno male. Si può dire a una ventenne: devi fare il giretto del parco come se fosse un anziano?
Voi capite cosa questo voglia dire? Questa non è una malattia invalidante? Nel posto di lavoro viene chiesto di alzare semplicemente questo, lo schermo, in modo che una paziente possa non da seduta ma in piedi riuscire a seguire il video. Per avere questo, però, il datore di lavoro ti chiede una carta, ti chiede una documentazione clinica: ripeto, dal pubblico non viene data.
Queste donne, quando hanno il ciclo fanno molta fatica a portare gli assorbenti, vengono suggeriti assorbenti di cotone, a volte molto costosi, viene a loro suggerito a volte di non portare gli slip. Questo è un altro grande tabù. Ma se la mucosa è estremamente infiammata, la vulva ha bisogno di ossigenarsi, quindi la cosa che si chiede a livello comportamentale a queste donne di non utilizzare gli slip, soprattutto di notte. Se hanno il ciclo come fanno? Usano gli stessi teli che usano gli anziani con incontinenza o che usano i bambini. Questo nel talamo nuziale, cioè quando sei a letto con tuo marito.
Cosa può fare la psicoterapia? So che in linea c’è il dottor Luca Pezzullo, caro amico di studi, e ci conosce anzitutto come psicoterapeuti, che possiamo essere d’aiuto, come ordine anche, nel lottare per riconoscere che siano malattie invalidanti, senza andare a cercare cause nel padre o nella madre in abusi mai subiti, ma nel cercare di mettersi, invece, in rete, nel poter formarsi per capire come poter aiutare a livello cognitivo e comportamentale queste donne e questi uomini, e capire che sono malattie costose, perché pagare tre professionisti alla settimana o al mese effettivamente è improponibile per chiunque di noi, oppure è una malattia per i ricchi (chiamiamola così).
Altra cosa è riuscire a fare divulgazione. Quanti pazienti, uomini e donne, si rivolgono da noi perché semplicemente sono andati su internet e hanno trovato il nome del Comitato o di altre associazioni che ci hanno preceduto. Quindi, la divulgazione scientifica è fondamentale. È fondamentale pubblicare. È fondamentale entrare nelle scuole di specializzazione di ginecologia, di neurologia, di urologia e di psicologia.
È una malattia da affrontare insieme, pazienti, familiari, caregiver. Quindi, anche il marito o la moglie, il compagno o la compagna va accompagnato a seguire la paziente, a seguire il paziente dal medico, dal fisioterapista o dal psico-sessuologo per capire come poter continuare a stare vicini, e dai datori di lavoro. È una malattia in cui lo Stato e le Regioni devono intervenire per darci una mano. Se ve lo diciamo noi liberi professionisti, che non abbiamo nessun vantaggio, ve lo diciamo per portare la voce di donne e uomini che sono disperati. E ce ne sono, i numeri sono altissimi.
Vi ringrazio per l’attenzione.
Speaker : Elena OSTANEL, Consigliera Gruppo Consiliare Il Veneto che Vogliamo
Grazie mille per questo intervento. Credo che abbia chiarito a tutti noi quanto queste patologie sono invalidanti. Mi è piaciuta molto l’introduzione dell’intervento rispetto alla presa in carico dal punto di vista del sistema sanitario pubblico.
Prima di lasciare la parola a Cecilia Bighelli per le conclusioni di questa giornata e poi a voi per eventuali domande o interventi, mi prendo cinque minuti di intervento. Collegandomi anche a quello che è stato detto, credo di poter fare un intervento un po’ più politico che un intervento di contenuto, tecnico, perché medico non sono, politica da qualche tempo sì. Però il tema vero, qui, è quello che è stato appena citato. Abbiamo una patologia che colpisce ‒ questi sono i dati che ci vengono forniti, ma in realtà sono sottostimati, come il Comitato insegna ‒ una donna su sette. I costi che una donna deve intraprendere mensilmente sono, anche qui sottostimati, tra i 300 e i 500 euro al mese. Come vi è stato detto, chi oggi qui parla a questo convegno è all’interno del sistema sanitario privato.
Cosa avrebbero potuto fare, evidentemente, queste professioniste, come altre in Italia? Non parlare di questo tema. Semplicemente lavorare su una patologia che, tra l’altro, nel sistema sanitario privato potrebbe anche portare delle entrate personali e individuali. Invece chiedono alla politica di fare un passo diverso, cioè quello di dire, dopo tantissimi anni in cui una patologia di questo tipo, per stigma e vergogna, in particolare in alcune classi sociali che non possono permettersi di parlare di questo tipo di patologia... Chiedono che venga fatto un passo, cioè che il sistema sanitario pubblico nazionale ‒ e le Regioni, facendo il loro lavoro di spinta o di inserimento nei LEA ‒ finalmente prenda in carico una patologia che in carico non è stata presa, per varie motivazioni che abbiamo ampiamente visto.
Abbiamo parlato anche del fatto che ci sono solo 15 centri, più o meno, in Italia. Significa ‒ me lo ha spiegato il Comitato in questi mesi ‒ che ci sono pazienti che fanno spola tra diverse regioni italiane, con le difficoltà che vi sono appena state raccontate. Credo che il pubblico debba in qualche modo prendere in carico non solo il costo, ma anche il fatto che questa patologia è fortemente invalidante. Quel costo viene moltiplicato perché se il 50% delle donne perde il lavoro è ovvio che questi 300-500 euro al mese rappresentano un costo che impatta diversamente, invece, su una donna che può continuare a fare la sua vita.
Perché questo convegno? Mi interessa entrarci. Infatti, ci sarà anche un momento conviviale dopo questo intervento. Serve per connetterci tra di noi. Abbiamo visto che sono state approvate due mozioni, due ODG all’unanimità, su mia proposta, come Veneto che Vogliamo, all’interno di questo Consiglio, ma, come spesso accade, nonostante si voti una cosa all’unanimità, non è detto che poi i passi successivi siano quelli di realizzare l’obiettivo.
Questo convegno ha invece l’obiettivo di far fare un passo diverso alla politica tutta: quello di dire che abbiamo approvato degli ODG con degli “impegna” molto specifici. Due oggi li stiamo già affrontando: quello di promuovere la conoscenza di queste malattie e anche di far capire bene non solo a medici e personale tecnico, ma anche ad un pubblico generico di cosa stiamo parlando; e quello di promuovere delle campagne di informazione al pubblico.
Quello che manca, e oggi l’obiettivo è questo, è andare invece nella direzione di lavorare su l’ultimo “impegna” che abbiamo fatto approvare, su suggerimento del Comitato, ovvero istituire, è già stata citata, una Pelvic Unit. Che cos’è? Qui parlo più ai dirigenti delle ULSS, ai medici e all’altro personale medico che è anche presente in sala, o che ci sta ascoltando online. Quello che abbiamo proposto è di impegnare la Giunta regionale a istituire un PDTA, quindi un Piano terapeutico su vulvodinia e neuropatia del pudendo, che consideri tutte le comorbidità che abbiamo oggi ascoltato e approfondito, e che prenda in carico le pazienti, o i pazienti non solo per la patologia specifica, ma anche per tutte le patologie correlate, quindi non solo quelle mediche, ma anche quelle che influiscono sul benessere psicologico e della persona, con l’idea che ci siano dei centri di riferimento regionali che possano anche lavorare sulla formazione del personale.
Un altro tema che è stato affrontato oggi è che le Università non si sono occupate, negli anni, del punto di vista della formazione su questo aspetto.
Ci sono tantissimi medici e personale che lavorano sul campo, ma senza aver potuto approfondire quello di cui oggi abbiamo parlato. Credo che il lavoro che si possa fare come politica è quello di pensare che l’istituzione di queste Unità, con all’interno del personale che sia multi settore, multi ambito (un po’ come abbiamo provato a fare in questo convegno oggi) possa essere davvero quel tassello che fa un cambiamento reale all’interno delle ULSS del Veneto.
Per questo, con l’assessore Lanzarin proveremo a continuare, e noi tutti dobbiamo continuare a fare in modo, ognuno nel proprio posto, che questo accada. Non vogliamo, e credo che oggi l’abbiamo visto in maniera chiara, che l’“impegna” rimanga su carta. L’“impegna” su carta non cambia la vita delle donne e degli uomini di cui oggi abbiamo parlato.
Un altro tema, e chiudo, che credo sia oggi importante, e io sono contenta che siano presenti Consiglieri, on-line o in presenza, donne, ma anche uomini, ma soprattutto donne, siamo in maggioranza oggi, forse perché anche nel modo di provare a fare politica insieme, indipendentemente anche dal colore politico che ci vede sedute qui, è un atteggiamento che mi piacerebbe portare avanti. Poco tempo fa avevo proposto – forse questo è il momento anche per partire – la costituzione di un intergruppo composto da donne che si occupi di alcuni temi dove la questione femminile entra potente, e forse questo è uno anche di quelli da cui potremmo partire insieme – guardo la collega Cavinato, ma anche chi ci ascolta on-line – per pensare di partire anche da una sensibilità e probabilmente da un atteggiamento nel vedere questo tema come più vicino a noi, anche se magari non siamo delle pazienti, o magari qualcuno sì, ma indipendentemente da questo pensare che ci sia una sensibilità diversa, perché forse riusciamo anche a comprendere di più quanto sia invalidante per una donna questo tipo di patologia. Quindi, davvero io vi ringrazio.
Lascio ora la parola a Cecilia Bighelli, componente del Comitato vulvodinia e neuropatia del pudendo, che concluderà questo momento, prima di lasciare la parola a voi per gli interventi. Ovviamente basta che alzate la mano e vi do la parola.
Speaker : Cecilia BIGHELLI, Comitato vulvodinia e neuropatia del pudendo
Grazie innanzitutto alla consigliera Elena Ostanel per aver promosso il convegno e per averlo diretto, nonché per tutto il lavoro fatto in Consiglio regionale.
Io sono anche un po’ emozionata dopo aver visto queste relazioni, nonostante abbia già ascoltato tutte le dottoresse qui presenti, perché veramente ci restituiscono un quadro ampio che, sebbene in questo ambiente abbia ascoltato tantissime storie di persone che, come me, soffrono di vulvodinia e neuropatia del pudendo, fa sempre molto effetto. Cercherò anche di condensare un po’, in modo da avere tempo poi magari di interagire.
Finisco i ringraziamenti rivolgendoli anche all’assessora Lanzarin, a tutto il Consiglio regionale del Veneto, a chi ha lavorato per organizzare il convegno e a tutte le persone in ascolto.
Io rappresento il Comitato vulvodinia e neuropatia del pudendo e volevo spendere due parole per raccontare cos’è. Io qui sono in veste di paziente-attivista, quindi non di una professione medico o sanitaria. Questo Comitato è nato circa un anno fa, è divenuto da poco associazione e ha come obiettivo proprio quello di promuovere un accesso equo alla salute delle persone che soffrono di vulvodinia e neuropatia del pudendo.
Ad oggi, infatti, si riscontrano enormi disuguaglianze, come abbiamo raccontato oggi, tra le persone che ne soffrono. Tante persone non possono permettersi economicamente di affrontare il percorso di cura, che è necessariamente lungo e multimodale. Si tratta di malattie croniche, ma ‒ lo ripeto anch’io ‒ sono guaribili se correttamente diagnosticate e trattate in modo efficace, diversamente da quello che spesso si crede nella comune accezione di “cronico”.
Inoltre, tante persone non riescono nemmeno ad arrivare a una diagnosi, in quanto la maggior parte degli specialisti sono nel privato e, a fronte di “n” visite specialistiche in cui non viene rilevato nulla, tantissime persone sono scoraggiate e non hanno, poi, la forza e la possibilità economica di continuare ad affrontare nuove visite specialistiche per arrivare anche solo a una diagnosi prima ancora della cura.
Il Comitato vulvodinia e neuropatia del pulendo è composto dalle associazioni che in Italia si occupano di queste due patologie, che ci tengo a nominare. Sono l’Associazione Italiana Vulvodinia Onlus, l’Associazione Italiana Neuropatia del Pudendo, il Gruppo Ascolto Vulvodinia, l’Associazione VIVA Vincere Insieme la Vulvodinia e l’Associazione Vulvodinia.info Onlus. Inoltre, dal personale medico sanitario più qualificato sulle due patologie, e qui ne abbiamo una rappresentanza, e da tante pazienti attiviste che portano avanti anche attività divulgative, di supporto, oltre che di advocacy politica.
Si tratta, quindi, di un’alleanza inedita, dove i pazienti collaborano effettivamente con specialisti e specialiste e sono anche, poi, affiancati da altre persone che, pur non soffrendo della malattia, contribuiscono. Si parla spesso di alleanze. Questo è veramente un esempio concreto di un’alleanza ampia e di una costruzione di rete, che, infatti, in relativamente poco tempo è riuscita a portare il tema in tanti luoghi.
Il Comitato si occupa prevalentemente di advocacy politica, quindi di interagire con le Istituzioni, facendo presente quali sono i bisogni che abbiamo come persone affette da una malattia che, più che invisibile, noi chiamiamo “invisibilizzata”, perché non è invisibile di per sé, ma è resa invisibile e troppo spesso non ascoltata e non creduta.
Tra i traguardi finora raggiunti – sono stati già accennati – c’è la presentazione di una proposta di legge alla Camera e di un disegno di legge al Senato per il riconoscimento di vulvodinia e neuropatia del pudendo, avvenuta tra marzo e aprile di quest’anno.
In seguito ad una conferenza-stampa legata a queste presentazioni, avvenuta il 3 maggio alla Camera, a Roma, si è acceso un faro mediatico, che tuttavia non aiuta concretamente nella cura, che potrebbe spegnersi, siamo consapevoli, altrettanto velocemente.
Chiediamo quindi ancora, nuovamente, che si arrivi a delle azioni concrete al più presto, quando ci sono ancora un’attenzione e un consenso maggiore sul tema.
Per quanto riguarda il livello politico nazionale, che giustamente è stato sollecitato più volte, e che delinea i LEA sui quali poi poggiano i Sistemi sanitari regionali, purtroppo dobbiamo dire che non ci sono praticamente speranze che le proposte di legge né alla Camera né al Senato vengano prese in esame durante questa legislatura.
È chiaro quindi che i tempi per una risposta politica sul nazionale saranno lunghi. Nella prossima legislatura quindi bisognerà ricominciare con la presentazione, riprendere tutti i contatti e poi rifare tutto l’iter parlamentare, che non è breve.
Proprio per questo, stiamo percorrendo anche la via governativa tramite la Commissione LEA, con la presentazione di un dossier scientifico, ma anche questa strada ha dei tempi molto incerti. Il ruolo delle Regioni è quindi fondamentale nel cominciare ad attivare delle risposte alle tante persone che chiedono di potersi curare nella sanità pubblica e di essere tutelate per la loro malattia.
Vorremmo quindi attivare, anche a partire qui dal Veneto, dall’attenzione che c’è, dei percorsi per raccogliere delle best practices da replicare poi in altre regioni, e in maniera più capillare possibile, anche una volta che il livello nazionale si sia attivato.
Attualmente partiamo proprio dal punto zero. In Veneto infatti non esistono ambulatori pubblici specializzati in vulvodinia e neuropatia del pudendo e nemmeno nessuna tutela sul lavoro per lo studio in nessun campo, come abbiamo già raccontato.
Tra i tanti contatti che sono stati attivati in quasi tutte le regioni italiane dal Comitato nell’ultimo anno, qui in Veneto va detto che le istanze sono state portate avanti con convinzione dalla consigliera Ostanel in primis, e appoggiate dal Consiglio. Quello di oggi è il primo convegno promosso in Italia da un Consiglio regionale su questi temi. Siamo contente, quindi, di essere qui, in quella che è effettivamente una sinergia tra Istituzioni e società civile, e di ragionare insieme sui prossimi passi da compiere.
Come Comitato e come riflessione che portiamo anche come pazienti, vogliamo provare a spiegare perché si è arrivati ad una situazione di questo tipo, che effettivamente ha dell’assurdo. È una malattia, la vulvodinia – teniamo, però, sempre presente anche la neuropatia del pudendo –, che colpisce una donna su sette, ma è totalmente sconosciuta. Quindi, non stiamo parlando di una malattia rara. Sebbene la neuropatia del pudendo abbia una prevalenza molto inferiore, anche questa è stimata a essere, comunque, il doppio della massima incidenza di una malattia rara. Quindi, non lo è affatto.
I condizionamenti culturali e sociali che, quindi, si riverberano anche nella pratica medica, nella medicina, hanno portato a tralasciare la presa in carico e lo studio di patologie del corpo femminile e delle persone con vulvodinia, e a non distinguere come le patologie si manifestino nei corpi femminili rispetto a quelli maschili. L’attenzione si è sempre concentrata solo sulla funzione riproduttiva delle donne e non sulla salute e il benessere, in particolare nella sfera sessuale. Qui vediamo, infatti, una disparità tra l’attenzione che viene data a delle problematiche che riguardano la funzione riproduttiva e, invece, quella che non è stata data a una malattia come la vulvodinia. Questa è la principale spiegazione che ha portato anche a rafforzare tabù sulla sessualità e sui genitali esterni, che rendono anche più difficile la richiesta di aiuto e la condivisione delle varie problematiche che incontra chi ne soffre sia con il personale medico che con la propria cerchia sociale.
Attingendo alle nostre esperienze di pazienti, pensiamo anche al fatto che, di fronte ai sintomi riportati da molte di noi, soprattutto donne, di bruciore, dolore, sensazione di spilli, scosse, persino di coltellate, appunto i sintomi maggiori che sono già stati raccontati, la maggior parte dei medici li considera ancora normali, parte di una sofferenza tutto sommato da accettare, inevitabile per le donne o scambiata per altri disturbi, in primis quelli di ordine psicosomatico, come ha ben raccontato la dottoressa Zanardo.
La frase che tantissime di noi hanno sentito dai medici è stata: “È tutto nella tua testa”. Per non ripetere anche una serie di presunti consigli con nessuna efficacia, come il consiglio di anestetici locali per poter avere un rapporto. E qui si capisce l’importanza che viene data al piacere, quindi. Ne dirò uno che è stato detto a me, per portare anche un po’ di esperienza personale. Durante una visita proprio in Veneto, mi è stato detto: “Ha mai provato a bere un bicchiere di vino prima di avere un rapporto?”. Anche questo metodo assolutamente non funziona ed è infondato, come possiamo ben comprendere.
La nostra battaglia, quindi, si basa innanzitutto sul fatto di dare importanza a tutti i dolori. Tutti i dolori vanno ascoltati, presi in considerazione e affrontati con gli strumenti disponibili. Su vulvodinia e neuropatia del pudendo esistono delle linee guida, esistono delle cure. Anzi, ce ne sono molte e vanno personalizzate a seconda dei casi. Potremmo parlare del cluster di vulvodinia di cui soffrono le pazienti.
La letteratura scientifica non ha dubbi, come è già stato presentato oggi. Si tratta di una malattia che si può diagnosticare con criteri validi, e nemmeno difficili, e si può curare. Se ci fossero ancora dubbi, riprendo quello che ha detto in apertura la dottoressa Marra: vulvodinia e neuropatia del pudendo sono state incluse nella classificazione internazionale delle malattie dell’OMS.
Passo, ora, alle richieste che abbiamo elaborato come Comitato con i vari attori e soggetti che ne fanno parte e anche attraverso apposite call online aperte alle pazienti. Le richieste che intersecano il livello nazionale e quello regionale sono le seguenti: innanzitutto, un riconoscimento di vulvodinia e neuropatia del pudendo come malattie croniche e invalidanti e l’inserimento nei LEA per quanto riguarda il livello nazionale, ma anche la possibilità di valutare l’inserimento negli extra LEA a livello regionale; la promozione di percorsi formativi volti a supportare l’accrescimento delle competenze delle figure mediche sanitarie, che è stato evidenziato essere veramente carente, ma anche la promozione di specifici corsi di formazione rivolti al personale di consultori pubblici e di medicina generale, al fine di favorire una prima informazione precoce e corretta su queste patologie. Ciò su cui ci piacerebbe veramente entrare nel concreto sarebbe la redazione di un PDTA per il trattamento multimodale delle malattie e l’istituzione di una Pelvic Unit.
Sicuramente sarebbe una sfida il fatto di lavorare in un’équipe multidisciplinare. Capiamo che sia una cosa ancora da elaborare, non così facile da mettere in piedi; ma effettivamente, si tratta di una patologia in cui si è visto come la possibilità di lavorare in équipe porti ad un risparmio nei tempi delle cure, e quindi anche un risparmio in termini economici.
Ricordiamo anche la richiesta di promuovere la ricerca scientifica anche per riuscire ad arrivare ad avere dei dati situati in Veneto come nel resto d’Italia, sull’incidenza specifica delle patologie, quindi per avere un registro delle due patologie, e avere poi delle garanzie per quanto riguarda il diritto all’invalidità, a permessi di lavoro e ad altre agevolazioni, nonché la promozione di campagne di informazione e sensibilizzazione rivolte a tutta la popolazione, anche a partire dalle scuole.
Inoltre, come Regione, chiediamo che venga fatta pressione a livello di Conferenza Stato-Regioni affinché il livello nazionale si muova più in fretta possibile.
Questa, come è stato anche già accennato, non è una situazione peculiare solo della vulvodinia, ma si ritrova anche in altre patologie prevalentemente femminili. Le più comuni e conosciute sono endometriosi e fibromialgia, anch’esse con un riconoscimento attualmente assolutamente parziale e insufficiente. Per questo come Comitato abbiamo creato un’alleanza con le associazioni che si occupano di advocacy politica rispetto a queste due malattie che dovrebbero essere trattate (soprattutto l’endometriosi) in queste Pelvic Unit.
Inoltre, come importanza delle istanze che arrivano in maniera veramente condivisa dal basso tramite il Comitato, ricordo che fin dall’inizio il Comitato vulvodinia e neuropatia del pudendo è stato appoggiato dal movimento femminista Non una di meno, che ha attivato varie iniziative sulle malattie invisibilizzate.
per quanto riguarda quello che si sta muovendo nelle altre Regioni, magari ci possiamo confrontare con chi se ne occupa più nello specifico. In generale, rimaniamo a disposizione per chi volesse approfondire e mettere in circolazione tutte le conoscenze e le cose che si stanno facendo. Per citarne solo una, l’ospedale Federico II di Napoli sta ultimando un PDTA, quindi questo cercheremo di portarlo come esempio a cui attingere anche in tutte le altre regioni.
Come ultimissima cosa più concreta, vi segnalo due eventi per quanto riguarda la formazione del personale medico, che sono due convegni nazionali, il primo dell’Associazione italiana neuropatia del pudendo il 30 settembre 2022 a Milano, il secondo dell’Associazione italiana vulvodinia il 4 novembre a Roma.
Grazie.
Speaker : Elena OSTANEL, Consigliera Gruppo Consiliare Il Veneto che Vogliamo
Grazie mille, Cecilia, per le conclusioni. Grazie al Comitato, che avevo ringraziato in apertura, perché senza di voi questo lavoro non sarebbe stato fatto.
Io lascio la parola, che so di un intervento, alla consigliera Cavinato. Chiedo se c’è qualcuno dal pubblico che vuole intervenire o fare delle domande. No. Quindi, intanto lascio la parola alla consigliera Cavinato.
Speaker : Elisa CAVINATO, Consigliera Gruppo Consiliare Zaia Presidente
Buongiorno a tutti. Ringrazio la collega, consigliera Ostanel, per aver portato qui in Consiglio la tematica che abbiamo appena trattato.
Personalmente ne avevo sentito parlare da poco, in realtà, in termini temporali e questo incontro mi è sicuramente servito per conoscere questa patologia. Due sono i dati che mi hanno colpito: il riconoscimento dell’Organizzazione mondiale della sanità avvenuto solo nel 2018 e la percentuale del 45-65% (se non sbaglio, se non ricordo male) di carenza formativa da parte dei professionisti sanitari per l’individuazione della malattia.
Auspico che l’obiettivo del Comitato possa quanto prima essere raggiunto. Questo perché tutte queste persone hanno il diritto di essere curate e di vivere una vita dignitosa. Tante sono le cose da fare, l’ho capito oggi qui, e cercherò di dare il mio contributo per questo.
Ringrazio le professioniste per aver ben illustrato tecnicamente, ma anche esponendo i sentimenti di queste persone, che mi hanno fatto capire quanto sia invalidante questa malattia, e questo prima non lo sapevo.
Vi ringrazio di tutto. Grazie.
Speaker : Elena OSTANEL, Consigliera Gruppo Consiliare Il Veneto che Vogliamo
Grazie a lei, davvero.
Come dicevo prima, c’è un momento di aperitivo qui accanto, in Sala Canova. Lo facciamo perché spero sia un momento di connessione tra di noi, anche tra chi non conosco direttamente tra i partecipanti. È un modo anche per fare un po’ di networking.
Come dicevamo, l’obiettivo è quello di portare a casa un risultato in Veneto rispetto agli impegni che ci siamo presi e che il Comitato ha riportato oggi. Quindi, forse un momento di chiacchiera tra di noi, anche più informale, può aiutare questo obiettivo ad essere raggiunto.
Vi ringrazio davvero per essere stati qui pazienti ad ascoltare. Ringrazio le relatrici per le importanti relazioni e i contributi. Una delle proposte che mi sento di fare, a chiusura di questo incontro, visto che il Consiglio ha un servizio molto interessante di scrittura, di trascrizione di quello che oggi abbiamo detto, è di poter realizzare un opuscolo, un libro dei vostri interventi, anche con le slide allegate, magari da poter distribuire al personale medico sanitario della regione. Credo sarebbe già un piccolo passo in termini di advocacy, di formazione, portare il tema all’interno delle strutture sanitarie e del personale. Ne parleremo insieme e decideremo se ha senso farlo, però è uno dei servizi che qui abbiamo e di cui potremmo chiedere di usufruire.
Ancora grazie. Ci vediamo di là. L’ultima barca ‒ per chi volesse andare a Piazzale Roma senza camminare ‒ è alle ore 18 e si prende da questo pontile. Quindi, abbiamo una mezz’oretta. Oppure chi vuole potrà anche andare a piedi.
Grazie mille.